L'INNOVAZIONE DELLA MATERIA PRIMA E LA TEMATICA AMBIENTALE
Nei secoli di rivoluzione industriale abbiamo visto l'ambito tessile affinare le sue tecniche produttive, in particolare le sue macchine, i telai; siamo passati da aziende artigiane a vere e proprie fabbriche con un discreto livello di automatizzazione. Il Novecento, oggetto di studio di questo post, porta anch'esso un'ulteriore sviluppo del settore: innanzitutto l'elettricità comincia a prender parte al processo produttivo, ma l'innovazione più rilevante è certamente l'introduzione di fibre tessili chimiche. Come può suggerire il nome esse sono ricavate dall'uomo mediante processi chimici e ne esistono di due tipologie:
1) Artificiali
Si tratta di fibre ottenute mediante una trasformazione di sostanze naturali di origine organica, tipicamente fibre vegetali o proteine animali. Eccone alcuni:
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La fibra di Acetato |
• Acetato
• Cupro
• Lyocell
• Modal
• Triacetato
• Viscosa o Rayon
2) Sintetiche
Le fibre sintetiche invece sono derivanti del petrolio tramite polimerizzazione e presentando caratteristiche più interessanti rispetto a quelle artificiali: infatti generalmente sono molto più robuste e termoisolanti.
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Tessuto di Kevlar e Carbonio |
• Acrilico
• Aramidiche (il Kevlar)
• Clorovinile
• Modacrilico (acrilico modificato resistente alla fiamma)
• Neoprene
• Poliammide (Nylon)
• Poliestere
• Polietilene
• Polipropilene
• Poliuretano
Tutte queste nuove fibre rivestono un ruolo fondamentale nell'innovazione dei materiali permettendo al tessile di riservarsi i nuovi mercati tecnologici e al contempo si diffondo anche tra la produzione più tradizionale come bandiere ma anche capi di vestiario. Grazie alla robustezza complessiva del materiale e all'origine non biologica delle fibre, queste non sono affette dalla degradazione e dunque possono essere impiegate in moltissimi degli ambiti precedentemente preclusi alle fibre tradizionali.
LA DOPPIA FACCIA DELLA MEDAGLIA
Tuttavia proprio l'origine non naturale delle fibre pone nuove problematiche ambientali e potenziali rischi sanitari: introducono infatti il problema dello smaltimento di un prodotto che, a fine del suo ciclo di vita, non può essere decomposto rimanendo come inquinante per un tempo indeterminato, e alterando gli equilibri della fauna e flora: consideriamo ad esempio le reti da pesca (prettamente in nylon) e gli effetti tragici che causano agli oceani, non solo la presenza fisica del materiale in acqua ma sopratutto perché i raggi solari riescono comunque a degradare parzialmente il tessuto creando le cosiddette "microplastiche", un pericolosissimo inquinante di dimensione microscopiche il quale viene ingerito involontariamente dalla fauna.
A livello sanitario rimangono dubbie le possibili conseguenze dei questi materiali a contatto con
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Plastica ritrovata in un pesce |
Secondo alcuni studi in media si può arrivare ad assumere sino a 250g di plastica ogni anno (anche dall'acqua del rubinetto) e circa il 50% della popolazione potrebbe averne ingerite.Bisogna sottolineare che non si conoscono effetti malevoli della sostanza, ma ciò che appare certo è che una volta assunte non vengono smaltite. Ecco un articolo di approfondimento di Focus che tratta il problema.
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